Cosa motiva le persone a dare il massimo sul lavoro?
La risposta a questo quesito è sempre stata molto complessa e ha spinto scienziati, imprenditori e dirigenti a provare a darvi risposta e adottare misure per migliorare la motivazione dei lavoratori a partire dall’800.
Non vogliamo né possiamo di certo dare noi una risposta esaustiva alla domanda, il nostro intento è quello di fornire differenti elementi e punti di vista per inquadrare al meglio la questione e fornire spunti di riflessione su un tema che di certo interessa ogni manager, dirigente o imprenditore.
L’assunto principale da cui è doveroso partire è che il rapporto di lavoro è uno scambio sbilanciato, ovvero un lavoratore “concede” il suo tempo e le sue capacità a qualcun altro (un capo, un cliente, un’azienda) a fronte di un compenso la cui funzione è quella di “riequilibrare” la relazione.
Il lavoro è sempre esistito nelle società umane, con forme a volte simili a volte molto diverse da quelle attuali, e la sua compensazione ha sempre avuto almeno una funzione di base per ciascun individuo che prestava la sua opera: garantire la propria sussistenza o quella del proprio nucleo familiare.
La problematica più evidente è che, una volta che la sussistenza è stata garantita, il compenso può non essere sufficiente o non essere percepito tale, questo può avvenire per varie ragioni: non vi è nulla di più prezioso del tempo, l’opera per cui si viene ricompensati vale di più, la difficoltà di comparare attività immateriali con compensi materiali…
Il modello culturale e sociale capitalista che si è consolidato e permeato ogni società e cultura occidentale negli ultimi secoli ha sviluppato nella popolazione valori e ideali che hanno, in qualche modo, fornito ulteriori elementi per bilanciare (o far percepire tale) la relazione lavorativa sbilanciata.
Ovviamente il lavoro fornisce a tutti un fondamentale strumento per migliorare le proprie condizioni socio-economiche oltre che essere un ascensore sociale estremamente forte che nel passato non era così dominante.
Nel tempo il lavoro (l’impegno, la fatica, il fare) ha acquisito una valenza e un valore a prescindere dalla sua funzione o compenso, ovvero si è sviluppato l’assunto che attraverso il lavoro ogni uomo diventi migliore e si nobiliti a prescindere dal tipo di lavoro in se.
Nella società contemporanea però il benessere economico che deriva dal lavoro è diventato inoltre status-symbol, la visibilità e il ruolo che assumiamo sul lavoro è diventato identità, il possedere beni materiali è diventato felicità.
In estrema sintesi la società contemporanea ha dato un “Senso” culturale al lavoro che è andato ben oltre la sua funzione di sussistenza, di scambio sociale o di valorizzazione di sé.
Non possiamo dunque non tenere presenti anche questi elementi quando riflettiamo sulla motivazione dei lavoratori o quando cerchiamo di agire per migliorare la loro produttività e il senso di appartenenza all’interno delle aziende.
Non possiamo però nemmeno sottovalutare quanto questo “Senso” che la società e la cultura dominante ha dato al lavoro sia soggetto a mutamenti nel corso del tempo e quanto questi mutamenti abbiano un impatto sulla motivazione dei lavoratori.
Siamo sicuri che oggi il “valore” che viene dato al lavoro sia uguale a quello che gli si dava anche solo 20 anni fa?
Lavorare è ancora considerato un fine per elevare e migliorare se stessi o semplicemente un mezzo per raggiungere i propri fini consumistici o di visibilità sociale?
E quanto il livello di benessere raggiunto e di sussistenza garantita dalle nostre società ha mutato l’interesse che le persone hanno nel migliorare la propria condizione sociale attraverso il lavoro?
Non è di certo possibile trovare risposte e spiegazioni valide e generalizzabili per ogni lavoratore, né individuare azioni e misure efficienti per migliorare la motivazione in ogni azienda. Tuttavia, osservando le generazioni più giovani, emerge chiaramente che i valori e gli assunti relativi alla motivazione sul lavoro stanno mutando.
E’ evidente, rispetto alle generazioni precedenti, quanto si sia ridotto il senso del dovere, lo spirito di sacrificio e il senso di responsabilità nei confronti del lavoro. Oppure quanto sia aumentato il valore che viene attribuito al tempo libero, al benessere individuale e alla percezione di libertà nel bilanciare la vita professionale e privata.
In conclusione, è fondamentale considerare l’evoluzione nel significato e nel valore attribuito al lavoro per valutare e stimolare la motivazione dei lavoratori. E’, inoltre, necessario riconoscere che la volontà di dare il massimo sul lavoro non è scontata.
Simone Di Grazia